domenica 30 settembre 2007

I Conti

C’è un posto a Ponza poco conosciuto dai villeggianti, dove un tempo l’attività prevalente era l’agricoltura (ora un po’ meno). È “I Conti”, un agglomerato di case situato un po’ in alto, sopra il villaggio di Santa Maria, e deve il suo nome alle numerose famiglie che vi abitano.
Ho molti ricordi della mia infanzia legati a questo posto, perché vi abitavano i miei nonni materni. Spesso trascorrevo giornate all’aria aperta, giocando nell’ampio cortile della loro casa. A volte andavo a curiosare nella loro cantina, dove c’erano i “palmenti”, in cui si pigiava l’uva in tempo di vendemmia, ricordo anche la mola con cui macinavano il grano per avere la farina.
Verso sera scrutavo la strada in attesa di mio nonno Salvatore, che con un sacchetto di tela grezza sulle spalle, ritornava dal pezzo di terra dove aveva lavorato per molte ore. Gli andavo incontro festosa, abbracciandolo, e ricordo come ora i suoi occhi di un azzurro intenso. La nonna Assunta era un po’ severa, ma nel pomeriggio preparava una merenda semplice ma buonissima: fresella bagnata con pomodoro. Una bontà!
Durante il giorno stavo bene sopra “I Conti”, ma verso sera cominciavo a smaniare che volevo tornare a casa mia. Mi sembrava di soffocare nel buio e il mio malessere era tale che tiravo un sospiro di sollievo solo all’uscita del tunnel di Santa Maria.
Ricordo che una sera, era il mese di luglio, si scatenò un temporale con acqua a catinelle. Io, mia madre e le mie sorelle non sapevamo come tornare a casa. La nonna voleva farci dormire lì ed io già facevo la lagna che non volevo starci, quando all’improvviso ci venne a prendere mio padre con un pulmino. Mitico! Ormai anche ai Conti, come nel resto dell’isola, le cose sono cambiate.
Molte cantine e stalle sono state ristrutturate, ma hanno cambiato destinazione d’uso. Infatti, sono diventate stanze da affittare ai forestieri.
Il turismo sta arrivando anche sopra i Conti e presto anche questo piccolo angolo rurale non sarà più lo stesso.
 

giovedì 27 settembre 2007

La quiete dopo la tempesta

È  arrivato settembre  e i ponzesi si riappropriano della loro isola.
Dopo notti insonni, caratterizzate da bande rumorose  di ragazzi anche un po’ brilli, non sembra vero poter riposare  in tranquillità.
E che dire delle strade gremite, all’inverosimile di gente che ti spintona da una parte all’altra.
Il mare è strapazzato da centinaia di imbarcazioni  d’ogni grandezza, che hanno creato tante di quelle onde da mettere in difficoltà le piccole barchette.
A settembre il mare è cristallino e l’acqua, un po’ più fresca, ti accarezza la pelle in un bagno rigenerante. Le calette intorno a Ponza sono quasi deserte, le rocce sembrano assumere un colore più bello.
Quest’anno però, in alcune parti dell’isola, non c’è quel bellissimo contrasto tra il verde della vegetazione con l’azzurro del mare. L’incendio di fine agosto ha reso spettrale la zona del Monte Guardia e mi hanno detto che si sente ancora l’odore di bruciato. Che peccato!
Ora che i villeggianti sono partiti, molti negozi chiudono e tra un po’ per comprare anche un pezzetto di pane o un po’ di frutta, che prima trovavi sotto casa, devi camminare un pochino.
Molti ponzesi, con le loro famiglie, si trasferiscono in continente, con la scusa dei figli che devono studiare e praticamente Ponza  si spopola. Anzi i ragazzi, oggi, sono più fortunati di quelli del passato, che per poter studiare venivano mandati in collegio quindi restavano per lunghi periodi lontano dalla famiglia.
Oggi c’è un istituto superiore che garantisce l’istruzione senza dover lasciare la propria isola. È  già qualcosa!
Da settembre in poi la popolazione si riduce a poche anime coraggiose.
In primavera poi c’è il gran ritorno dal continente. Bisogna prepararsi all’arrivo dei turisti, quindi sfruttare le bellezze dell’isola, per poter guadagnare tanto, anche se la maggior parte di quel denaro non viene speso a Ponza.
È  una quiete un po’ amara per i pochi isolani che restano.

Il vento

Un’isola senza vento è come un cielo senza stelle.
Il vento, quando soffia leggero, sembra stia giocando con le onde del mare e porta nelle narici il salubre odore della salsedine. Quella leggera brezza accarezza le ginestre in fiore, trasportando il loro profumo nell’aria circostante.
Il vento, quando è forte, si sente urlare rabbioso per i vicoli, i tunnel, le scalinate…
A volte per passare nel grottone di Pascarella e giungere velocemente in piazza, ti sembra di cozzare contro un muro tanta è la sua forza in quel tratto.
Di conseguenza si scatenano violente mareggiate in alcuni tratti dell’isola, a seconda del quadrante del vento a cui sono esposti.
Nella costa orientale prevalgono il Levante e lo Scirocco, che sono un po’ l’incubo dei diportisti che affollano i pontili nella zona del porto.
Mentre nel versante occidentale, da Chiaia di Luna a Le Forna, prevalgono il Ponente e il Maestrale che a volte sono veramente furiosi.
Il forte vento può dal luogo anche a delle frane e facendo il giro dell’isola se ne vedono parecchie. Nel mese di luglio, durante una furiosa tempesta, c’è stata una grossa frana a Cala dell’Acqua che per fortuna non ha creato danni alle persone. Sembra che in questi giorni siano iniziati i lavori di recupero di quel tratto di costa e speriamo che la prossima estate sia agibile ai bagnanti.
Nei millenni il vento ha lavorato con la sua forza le rocce, che sembrano sculture levigate da un artista. Facendo il giro intorno a Ponza o Palmarola si vedono tante rocce che assumono le figure più svariate.
Sull’isola il cielo è per la maggior parte dell’anno sereno grazie al vento che spazza via le nuvole.

lunedì 17 settembre 2007

La ponzite

La ponzite è una vera malattia che colpisce il cuore e la mente.
Io ne soffro da sempre! Partire dalla propria isola è qualcosa che frattura il cuore. Mentre la nave è attraccata al porto, pronta per salpare, io sto già male. Non voglio partire, non voglio andare via !!! in questa isola ci sono nata ed il legame tuttora è molto forte, non si è mai affievolito, anzi…
La nave mi porta via, e man mano che si allontana, con lo sguardo accarezzo le case, le barche, le persone…
Fisso la scia della nave, mi soffermo a guardare il monte Guardia e lo sguardo corre fino a Gavi, dove una colonia di gabbiani svolazza da uno scoglio all’altro. Ponza sempre più lontana ed io pregusto già il momento del ritorno. Porto con me delle immagini bellissime, il rumore del mare, il soffiare del vento, il verso dei gabbiani e tante altre cose…
La nostalgia è tanta ma non della Ponza caotica, piena di gente chiassosa o barche rumorose.
La Ponza che io preferisco è quella primaverile, stupenda con i suoi colori o autunnale con la sua quiete dopo la tempesta estiva.
Il momento in cui Ponza sfoggia il meglio di se stessa!

Chiaia di Luna

Salendo per la strada Panoramica, mi trovo di fronte alla spiaggia più spettacolare del Mediterraneo: Chiaia di Luna.
Dal piazzale rimango senza fiato nell’ammirare la falesia, alta più di cento metri, con i colori che vanno dal giallo al bianco, fino al rosa.
È la baia che ognuno di noi sogna,affacciata sull’isola di Palmarola,
ricoperta da un manto di ciottoli.
Uno dei posti più romantici del mondo!
Decido di attraversare la galleria romana per arrivare direttamente sulla spiaggia.
Provo una grande emozione quando, man mano che mi avvicino all’uscita, sento il rumore del mare, rimango accecata dalla luce sempre più intensa.
Resto colpita da tanta bellezza, da ciò che la natura ha saputo creare,
non ho più parole.
Mi siedo in un angolo, assorta nei miei pensieri, in attesa del tramonto,
che con i suoi colori, riesce sempre a darmi un’emozione.
Lo sguardo spazia libero tra mare e cielo e una barca in lontananza
fa ritorno in porto.

mercoledì 12 settembre 2007

Barchetta

Questo è il modello di una barca costruita dal maestro d'ascia Ciro Iacono. Un modello simile è nel ristorante "Acqua Pazza" di Ponza,variano solo i colori giallo, bianco e rosso.

sabato 8 settembre 2007

Il Santa Lucia

L’altra sera, in televisione, è stata rievocata una pagina di storia purtroppo molto brutta per l’isola di Ponza. Una vera tragedia che ogni anno a fine luglio ci riporta indietro di molti anni. Era la mattina del 24 luglio del 1943, il piroscafo Santa Lucia, che collegava le isole di Ponza e Ventotene con il continente, venne affondato da siluri sganciati da aerei Alleati. Tutto accadde a due miglia da Ventotene, la nave venne colpita al centro e in meno di un minuto s’inabissò. Si salvarono in pochi, tra cui il comandante Simeone, che però morì sull’idrovolante che lo stava trasportando in ospedale a Napoli. Uno dei sopravvissuti, Francesco Aprea, era già scampato ad un naufragio, ma morì comunque in mare anni dopo, nell’affondamento di una nave da carico. A bordo c’erano anche delle coppie di sposi che purtroppo non ebbero il tempo di godersi la loro vita matrimoniale. C’era anche il papà di Mirella Romano, giovane sottufficiale della Guardia di Finanza, che ritornava da pochi giorni di licenza. Lasciò una moglie giovanissima e una bimba di circa due anni.
Per Ponza questa fu una vera tragedia!
Su quel traghetto ognuno aveva un parente, un amico, un conoscente, ma non si è mai saputo il numero esatto di persone che trasportava.
Mirella, attraverso la televisione e i giornali, si è messa alla ricerca dei parenti delle persone morte nell’affondamento. È riuscita ad incontrarne molti ed ogni anno ricordano a Ventotene quel giorno tragico con una toccante commemorazione.
L’altra sera mi hanno colpito gli occhi tristi di Mirella, e le sue parole quando ha detto: <>. Per tutta la sua vita, lei ha portato avanti la sua ricerca e il ricordo di quanto accaduto, e ancora oggi continua con la stessa passione.
Il relitto del Santa Lucia giace a 40 metri di profondità e oggi è meta di immersioni subacquee. Del filmato mi ha molto emozionata quel lancio di fiori in mare con le note del Silenzio in sottofondo.
Il prossimo anno voglio andarci anch’io!
Foto del Santa Lucia, presa dal libro di Ernesto Prudente “Ponza, il tempo della storia e quello del silenzio”

Maestro d’ascia, un antico mestiere

<<….È dai tempi più antichi che l’attività delle costruzioni delle navi è stata considerata al tempo stesso arte e scienza; dal progetto del costruttore fino agli studi pratici dei maestri d’ascia che coltivano l’arte della tecnologia tutto è preordinato. Non esiste una disciplina provvista di basi così sicure ed invariabili, e al tempo stesso, non c’è mai stata una nave uguale all’altra. I maestri d’ascia, in quanto artigiani, si occupano sia del progetto che della realizzazione del manufatto. Aiutati dalle antiche esperienze e seguendo la tradizione e l’istinto, costruiscono i loro scafi con risultati tuttora apprezzati dal moderno costruttore navale. Nei cantieri artigianali il gozzo viene costruito “a occhio”, con il solo aiuto dell’esperienza e della pratica acquisita attraverso le generazioni. Il modello cresce nelle mani e nella testa dell’esecutore come se fosse una scultura, ricavando da un blocco di legno la forma desiderata. Ogni famiglia di costruttori predilige sostanzialmente una tipologia di forme bene definita ritenendola più adatta e inizia la vera e propria costruzione della barca.
…>>.

Tratto dal libro di Paolo Iannuccelli “Ponzamare”, Ed. Associazione Culturale Pontina, 2006

Nella foto a lato, il mastro d’ascia Ciro Iacono al lavoro.

venerdì 7 settembre 2007

Tramonto su Palmarola

Ecco un fantastico tramonto su Palmarola. La foto è stata scattata sull'Aia degli scotti il 21 Luglio del 2006, giorno della festa della Madonna della Civita.

mercoledì 5 settembre 2007

Cisterne romane

In tutto questo tempo si è trascurata completamente la parte archeologica che possiede Ponza.
 Penso che molte cose siano distrutte dalla negligenza e dall’incuria. C’erano molte e ampie cisterne romane ricavate nella roccia viva, con pilastri di sostegno a più navate che potevano contenere molte cubature di acqua. Molte di queste sono state distrutte, in altre addirittura alcuni hanno ricavato mini appartamenti.
Un esempio è la Cisterna di Via Parata, che durante la Seconda Guerra Mondiale fu utilizzata come rifugio antiaereo. Negli ultimi anni i proprietari di case attigue alla cisterna hanno sfondato il muro e hanno costruito camere, bagni ed altro per il loro personale utilizzo.
Non c’è controllo. Tanti anni fa vennero a Ponza anche incaricati della Sovrintendenza del Lazio ma tutto venne messo a tacere. Chissà!!!
E pensare che la vicina Ventotene ha recuperato le sue cisterne, che sono visitabili dai numerosi turisti che lo richiedono.
Anche Formia ha recuperato il suo Cisternone, che era pieno di immondizia, ed ora è visitabile facendo scoprire l’ingegno e l’abilità dei romani.
 E che dire del Museo che Ponza NON possiede: chissà dove sono finite le anfore ritrovate su un relitto anni fa. Recuperando queste opere si darebbe un’impronta culturale al turismo, si potrebbero impegnare dei giovani come guide. Ponza potrebbe avere non solo un turismo balneare, ma anche culturale.


A lato pianta Cisterna in via Parata. In giallo i pozzi di luce e di presa d’acqua; in marrone le strutture moderne, elevate per ricavare vani abitabili a ridosso della cisterna;in verde le murature antiche di rinforzo.
Tratto dal libro
Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale
“Le Isole Pontine attraverso i tempi” a cura di G.M. De Rossi, 1986
Guido Guidotti Editore

Disegno2

Ecco uno dei tanti disegni di Ciro Iacono. Questo è stato fatto nell'ultimo periodo della sua vita.

lunedì 3 settembre 2007

Palmarola

Andare a Palmarola diventa un pensiero fisso, quasi un’ossessione, appena la si vede circondata da tutte le sfumature del rosso e dell’oro durante i sempre differenti tramonti.
Non a caso un vecchio detto ponzese dice:
<<Parmarola m’ha ccuòtte u core.>> (Palmarola mi ha cotto il cuore).
Ma questa attrazione per la piccola isola gioiello dell’arcipelago, si trasforma in amore totale solo quando si inizia a scorgere il verde-blu indescrivibile delle sue acque, il colore “verde di Palmarola” come dice l’artista Ike.
 Palmarola è un vero luogo dell’anima, in cui solo ascoltando le armonie del mare e il silenzio della terra, si ritrova se stessi rigenerati a vita nuova.
 Non a caso si dice <<Chiste è u paese addò nun se jastémme né se prèche a Ddje.>> (Questo è il paese dove non si bestemmia né si prega Iddio).
Infatti, non c’è bisogno di pregare, perché la presenza del divino è in ogni singola roccia ed anfratto, immanente nella Natura stessa.
Altrimenti non è spiegabile come abbiano potuto solo il mare e il vento creare la Cattedrale a Cala Tramontana, o la Grotta di Mezzogiorno, solo per fare due esempi esaustivi.
 Palmarola è l’isola paradiso dei ponzesi, l’isola sacra perché San Silverio ha colto qui la palma del martirio.
 Palmarola è isola di cristallo, per la presenza dell’ossidiana, il vetro vulcanico che attirò l’uomo preistorico.
Palmarola è il tesoro nascosto che ogni ponzese ha nel cuore, non a caso per dire <<hai trovato un tesoro>> si dice << È truvate a rène i Parmarole>> (Hai trovato la sabbia di Palmarola).
E quando la barca mette la prua verso Ponza, Palmarola ti strappa una promessa in fondo al cuore, a fior di labbra: <<Ritornerò>>.
Forse ho trovato << a rène>>.

<<Chiste è u paese addò nun se jastémme né se prèche a Ddje.>>
“Perché la vita stessa è preghiera materializzata, la Natura è monumento inimitabile, simbolo ed emblema della religiosità dell’uomo sa o non sa cogliervi”. Gin Racheli, “Le isole ponziane, rose dei venti: natura, storia, arte”,
Milano, Mursia, 1986.

Il luogo della memoria

Il cimitero di Ponza è situato in uno dei posti più panoramici dell’isola, sul promontorio sovrastante le grotte di Pilato, proprio sui resti di una villa augustea. Venne inaugurato nel 1892 dal sindaco Vincenzo De Luca ed appena si varca il cancello, c’è la chiesetta dedicata alla Madonna della Salvazione. Scendo nel piazzale dove c’è il monumento ai caduti ed entro nella grotta di tufo del 1831 dove riposa papà Ciro, accanto allo storico ponzese Giuseppe Tricoli, autore di “Monografia per le isole del gruppo ponziano”, pubblicato nel 1857. Dopo una breve preghiera, comincio il mio girovagare cercando nomi e foto conosciuti. Mi soffermo davanti alla foto di Angela Coppa (Angelina) e mi ritorna in mente la sua risata squillante. Andando più giù per le scalette, ecco Enrico Migliaccio (Enricuccio) e me lo rivedo con il suo “canestiello” che torna dalla spiaggia di Chiaia di Luna. Altri nomi, altre foto. In una cappella un saluto a Silverio D’Arco (Bebè), che improvvisamente ha lasciato il suo posto davanti alla barca che porta San Silverio in processione. Sono tantissime le persone che vorrei nominare, parenti, amici, che purtroppo ci hanno lasciato e per i quali il ricordo è sempre vivo. Purtroppo al cimitero di Ponza non c’è più spazio e anche i defunti vengono sfrattati per far posto ad altri.
Bisognerebbe cercare altre soluzioni perché ogni ponzese alla fine dei suoi giorni vuole tornare nella sua isola e trovare un posto decoroso per riposare per l’eternità.
La foto è presa dal libro di Gin Racheli "Le isole Ponziane" Ed.Mursia e raffigura la tomba della famiglia Tricoli.

Disegno

Ecco uno dei tanti disegni di Ciro Iacono. Questo è stato fatto nell'ultimo periodo della sua vita.

La spigolatrice di Sapri

Me ne andavo un mattino a spigolare
quando ho visto una barca in mezzo al mare:
era una barca che andava a vapore,
e alzava una bandiera tricolore.
All’isola di Ponza si è fermata,
è stata un poco e poi si è ritornata;
s’è ritornata ed è venuta a terra;
sceser con l’armi, e noi non fecer guerra.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti.

Sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra,
ma s’inchinaron per baciar la terra.
Ad uno ad uno li guardai nel viso:
tutti avevano una lacrima e un sorriso.
Li disser ladri usciti dalle tane:
ma non portaron via nemmeno un pane;
e li sentii mandare un solo grido:
Siam venuti a morir pel nostro lido.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti.

Con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro
un giovin camminava innanzi a loro.
Mi feci ardita, e, presol per la mano,
gli chiesi: - dove vai, bel capitano? -
Guardommi e mi rispose: - O mia sorella,
vado a morir per la mia patria bella. -
Io mi sentii tremare tutto il core,
né potei dirgli: - V’aiuti ‘l Signore! -
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti.

Quel giorno mi scordai di spigolare,
e dietro a loro mi misi ad andare:
due volte si scontraron con li gendarmi,
e l’una e l’altra li spogliar dell’armi.
Ma quando fur della Certosa ai muri,
s’udiron a suonar trombe e tamburi,
e tra ‘l fumo e gli spari e le scintille
piombaron loro addosso più di mille.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Eran trecento non voller fuggire,
parean tremila e vollero morire;
ma vollero morir col ferro in mano,
e avanti a lor correa sangue il piano;
fun che pugnar vid’io per lor pregai,
ma un tratto venni men, né più guardai;
io non vedeva più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

di Luigi Mercantini

Un mondo nascosto

"Il mare. Un mondo nascosto da cui scaturisce la vita su questo pianeta. Materno, materno oceano. Un simbolo universale di vita e fertilità nell'arte e nella letteratura. Oggetto di sogni romantici. Un gentile seduttore che ti attira con un cenno e, allo stesso tempo, un'inflessibile forza capace di furia istantanea. E il mare è libertà. È l'ultima distesa per le vaste globali migrazioni dei più grandi animali in natura, dove i soli recinti sono le coste continentali. Libertà, anche dalla gravità, per quelli immersi nelle sue acque. Un ultimo rifugio. Per molti, semplicemente, un arcobaleno è un arcobaleno, e il mare è il mare, e si lasciano sfuggire i loro più profondi segreti. Ma essi meritano una maggior attenzione, poiché ci sono arcobaleni dentro il mare per coloro che hanno gli occhi capaci di scorgerli."
Christopher Newbert, 1984
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